M. Marchi, “Presidenzialismo a metà. Modello francese, passione italiana”, collana “Universale Paperbacks il Mulino”, pp. 272

(in libreria dal 03/11/2023)

Ben sappiamo che la storia dell’Italia repubblicana può essere rappresentata come una ricerca mai completata di stabilità politica ed efficacia decisionale. Già nel dibattito interno dell’Assemblea Costituente, nell’ambito dei lavori della Seconda Sottocommissione, il deputato repubblicano Tomaso Perassi presentò il 4 settembre 1946 il celebre ordine del giorno che reca il suo nome. Esso esprimeva l’opzione per una forma di governo parlamentare, da realizzarsi tuttavia tramite una serie di presidi volti ad evitare le “degenerazioni del parlamentarismo”.
Questa parte del dettato costituzionale è rimasta inevasa: dal 1946 si sono succeduti in Italia ben 68 governi e il confronto con democrazie occidentali come Francia e Germania è davvero impietoso.
La c.d. “Repubblica dei partiti” non è stata in grado di garantire una coerente evoluzione istituzionale.
Tutti i tentativi di razionalizzare il nostro parlamentarismo, dalla commissione bicamerale per le riforme istituzionali presieduta da Aldo Bozzi (1983-1985) (cui seguiranno più avanti gli infruttuosi tentativi delle commissioni De Mita-Iotti del 1993-1994 e D’Alema del 1997-1998) sino all’ultima proposta di riforma costituzionale targata Renzi-Boschi nel 2016, testimoniano l’incapacità di giungere a soluzioni concrete ed applicabili.
Tra il presidenzialismo americano e il parlamentarismo italiano, si inserisce la via di mezzo del semipresidenzialismo francese. Ma siamo davvero certi di sapere di cosa stiamo parlando? Ed è davvero un sistema esportabile in Italia? Nella convinzione che qualsiasi riforma debba partire dalla conoscenza del modello al quale ci si ispira, della sua evoluzione storico-politica e dei soggetti che lo hanno incarnato, l’Autore illustra vizi e virtù del (semi)presidenzialismo che tanto sembra piacere agli italiani e che sempre più spesso viene evocato e invocato nel dibattito pubblico.
Da un lato, l’obiettivo resta quello di ricercare la stabilità governativa e l’efficacia a livello decisionale, in un contesto nel quale il potere esecutivo possa godere di una chiara legittimazione e quello legislativo esercitare il suo doppio compito di produttore di leggi e di controllore delle procedure.
Bisogna però fare i conti anche con l’attualità: le due culture politiche tradizionalmente cardine del sistema francese (gollisti e socialisti) stanno attraversando un momento di profonda crisi, unita ad una pericolosa sovraesposizione del Presidente della Repubblica (e ad una conseguente inutilità del Primo Ministro), al punto che si è aperto un dibattito sull’opportunità di andare verso una Sesta Repubblica, o definitivamente presidenziale o risolutamente parlamentare.
Un aspetto non secondario per chi si sta cimentando in esercizi di ingegneria costituzionale comparata.
I sistemi istituzionali vivono “nella e della” storia e funzionano solo se si riesce a comporre un amalgama virtuoso tra tradizioni e culture politiche (ma anche tra sistema partitico e legge elettorale), sensibilità antropologiche e dinamiche economiche e sociali.
Perdere di vista tutto ciò significa, di solito, alimentare false illusioni e pericolose semplificazioni.

Michele Marchi insegna Storia del Mediterraneo moderno e contemporaneo e Political History of European Integration nell’Università di Bologna – Campus di Ravenna.

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